venerdì 23 ottobre 2020

Incontri ravvicinati del terzo tipo...


Oggi Pelè, si O’ Rey, compie 80 anni.

Ricordo addirittura un disco, un 45 giri venduto come gioco che oltre al tema musicale regalava uno specchietto da mettere sul giradischi che riflettendo piccole figurine simulava una “rovesciata” ad ogni giro del disco.
Quante volte l’ho fatto girare, avevo 10 anni, o giù di li.

E in Tv Pelè non lo avevo mai visto, vivevo e sognavo di racconti.
Pelè, il più grande di sempre, i 1000 Goal.
Amo il calcio come ne amo i talenti a prescindere dalle bandiere. Poco sapevo del Santos, la sua squadra, ma che importava. 
Lui era Pele. Lui è Pele.
Poi parleremo anche di Maradona o di Ronaldo (non CR, ma proprio di Ronaldo) i mei due altri grandi. E poi ci sarebbe anche Lev Jašin nella mia top list, il Ragno Nero, perche’ stiamo parlando di leggende e non solo di talenti oggettivi.

Ma torniamo a Pele. Non una leggenda, ma LA leggenda.
Ho imparato a conoscerlo ai mondiali messicani, nella finale con l’italia dove segna di testa non tanto perche’ era andato altissimo… ma perche’ la, in alto, ci era rimasto una eternità fino a colpire il pallone. Burgnich aspetta ancora adesso che torni a terra…
E poi l’ho ammirato in infinte raccolte delle sue gesta, carrellate di immagini in bianco e nero dove faceva girare la testa a difensori e portieri.

Pele’.

E non importa se il millesimo goal lo ha segnato su rigore. Suoi i 1000 goal in carriera, quando si giocava molto meno di quanto si giochi oggi.
Ancora adesso “sento” i miei brividi di bimbo sognante a pensare al suo nome, alle sue giocate.
Perché i miti e le leggende che ti costruisci da bambino restano nell’anima.
E Pele’ è sempre rimasto nell’anima.

Anche quel giorno di luglio del 2002, in una grande città della Korea, in attesa davanti agli ascensori dell’hotel.
Con il pensiero nei miei pensieri e lo sguardo incurante dei dintorni, come capita spesso quando si entra in un ascensore affollato e si evita lo sguardo degli sconosciuti.
Si apre la porta e con lo sguardo basso mi infilo tra i due già presenti consapevole, quasi certo, del loro sguardo verso l’alto. Sembrava non si conoscessero.
Non credo sia passato un “piano” quando il respiro mi si è fermato mentre un sorriso involontariamente, incredibilmente mi compariva sul viso (e io non sorrido quasi mai, tanto meno negli ascensori affollati) nell’incrociare lo sguardo a destra e a sinistra.
A sinistra per contraccambiare il sorriso condiviso di Pele’, a destra l’espressione arcigna e corrucciata di Platini.
Il respiro trattenuto, il sorriso stampato, l’espressione idiota, un attimo, un pezzo di vita.

Non ricordo quanti piani, non ricordo se in salita o discesa. 
Porto con me l’immagine, da me ricostruita, di tre uomini che escono dall’ascensore in giacca e cravatta: io, Pelè e Platinì.

Auguri O’ Rey.