giovedì 4 ottobre 2018

La felicità è comprare cose immorali di nascosto



Quando ero bambino vivevo circondato da molte persone con l’immagine della “guerra”, la guerra vera, ancora ben presente nella loro mente e nei loro discorsi.
Quante sere passate ad ascoltare storie e riflessioni che iniziavano sempre con: “In tempo di guerra…”.
“In tempo di guerra si pativa la fame”
“In tempo di guerra c’era la tessera…”
Per me, bimbo, la “tessera” era quasi qualcosa di magico. Immaginavo un mondo dove i soldi non erano piu’ necessari, dove bastava portare una tessera per avere pane, latte e anche qualche vestito.
La guerra non l’avevo vissuta, cosa ne sapevo del razionamento, della fame, e più in generale della “tessera annonaria”.
Ma come tante cose che si vivono da bambini, l’immagine della “tessera” aveva preso alloggio in qualche meandro dei miei ricordi, tanto che ogni tanto risvegliata degli eventi della vita mi tornava l’immagine della nonna, ma anche della mamma quando parlavano della famosa “tessera”, dei giorni in cui determinati generi erano “prelevabili”, o meglio, come ho poi capito, “comprabili”.
Non ho visto tessere in Siberia, in un viaggio negli anni 80 alla citta delle Scienze in quel di Novosibirsk, dove un giorno accompagnato dagli studenti siamo andati a comprare il burro, visto che nel “supermercato”, che di super non aveva molto, c’era SOLO burro…. Giornata di festa mi confessarono gli amici locali, mentre scartavano con occhi lucidi i “Ferrero Rocher” che avevo portato.
Ricordo invece, ma in modo indiretto visto che ero un turista, i racconti sulla "botega" Cubana i negozi dell’ Avana dove i locali potevano comprare con la "libreta" i generi di prima necessità ad un prezzo convenzionato.
Non so perchè, ma in questi giorni questi ricordi nascosti dal tempo sono riaffiorati, come fotografie cariche di seppia trovate al fondo di un cassetto.
Senza nessuna relazione, neppure lontanamente, con situazioni passate di grande sofferenza e di fame. E' solo che, evidentemente, qualche scintilla li ha risvegliati.
I ricordi aiutano a riflettere e a volte qualche riflessione, anche se solo personale su modi e metodi, può tornare utile.
Non tanto per soffermarsi su fame o povertà, ci mancherebbe, ma per richiamare un paio di valori importanti: la dignità e il rispetto.

venerdì 18 maggio 2018

Stomadocracy: la democrazia della "pancia"


Una volta c’era la democrazia rappresentativa.
A quel tempo esistevano figure, credo chiamate “statisti”, che avevano studiato e si erano preparati a fare il bene dello stato, non necessariamente del singolo ma per l’insieme dei singoli.
Ogni cittadino, sulla base delle proprie idee e dei propri principi, si identificava in uno statista che li potesse realizzare e a lui dava mandato.Lo statista poteva essere bravo o meno nel realizzare quanto promesso, onesto o meno nel gestire la cosa pubblica, ma la stessa democrazia ne avrebbe deciso il suo futuro.
Noi esseri comuni non avevamo tutte le conoscenze dei decreti, degli equilibri internazionali, delle leggi dell’economia… ma gli statisti si, era il loro mestiere.
Insomma... un po’ come scegliere il proprio medico per poi affidarsi alle sue cure…
Poi vennero loro, quelli che “fa tutto schifo”, gli “statisti sono una casta” che non fanno gli interessi dei cittadini e quindi meglio un ignorante e ancora meglio se belloccio, sornione e “compagnone”.
Uno qualunque, giusto con un buon carico di ego, pronto a raccogliere tutte le rabbie e a sciorinare promesse sulla base delle richieste piu' disparate del cittadino del marciapiede.
Meno tasse, uno stipendio senza lavorare, in pensione quando ancora si puo’ fare un po’ di sport…. ecc...
Magari anche il sole garantito la domenica e la neve il giorno di Natale.
Il tempo della democrazia dal basso, la delega all’uomo qualunque… non importa se poi non si possono realizzare le promesse fatte, intanto si guadagna del tempo, ma soprattutto ci si illude anche un po’.
Ora quello che era uno statista, che doveva muoversi in modo libero per poter attuare i propri programmi, diventa un portabandiera che non deve “tradire” chi lo ha istruito e scelto per agire (beh… non esageriamo…) piuttosto che per pensare.
Ma anche questa democrazia è superata.
L’ultimo baluardo è la democrazia della “pancia”.
Anche l’uomo qualunque fa un “passo di lato”.
Si decide un programma, lo si chiama “contratto”.... si fa finta di discuterlo a fondo e poi lo si lascia trapelare in modo che tutte le “pance” del paese possano emettere rumori di vario tipo.
Si raccolgono i rumori e si “corregge” il contratto per poi farlo trapelare di nuovo…  e cosi’ via.
Oltre la fiaba o il racconto onirico, dalla “Crowdocracy” alla “Stomadocracy".
Con la speranza che così facendo tutte le domeniche saranno soleggiate e a Natale ci sarà una bellissima nevicata.

Del futuro dei nostri figli ne parleremo un’altra volta.





mercoledì 25 aprile 2018

Nota di release 6.0 - ricordati di santificare le feste


Ricordati di santificare le feste…
E se c’è una festa che vorrei santificare piu’ di altre, questa è proprio il 25 Aprile.
Sono stato la seconda generazione e se non ho vissuto in prima persona la “liberazione” ho conosciuto chi me l’ha potuto raccontare.
Ho ascoltato spesso i loro racconti, scevri di epopea ma carichi di emozioni.
Figlio di operai, sono cresciuto unendo il mito della libertà con la fierezza del lavoro.
E la coincidenza della vicinanza delle due feste mi ha sempre tolto il gusto di viverle con il giusto tempo.
Un po’ come mia figlia che nata nei dintorni di Natale vede confondersi le sue due feste preferite.
Pochi ma puntuali i racconti di mio padre, scappato dai rastrellamenti dei tedeschi. Ricordo come una favola il suo racconto, per me bimbo, di quando si nascose per giorni in una stalla, in una mangiatoia, coperto dalle foglie secche…. dove una lontana parente gli portava poche cose da mangiare e sistemava le foglie.
Lei si chiamava Esterina e io l’ho conosciuta, perche’ mio padre mi portava di tanto in tanto in quel di “Lajetto” a trovarla e io, sempre bimbo, non capivo bene quale relazione avesse mio padre con quella vecchietta.
Erano gli anni 60, ma Esterina mi è rimasta nel cuore, ha salvato il mio papà e di lei con tenerezza mi ricordo il 25 di aprile.
E ogni 25 Aprile decido di fare qualcosa, anche una cosa banale, non importa quale, ma nella mia piu’ totale libertà di poterlo decidere. Godendo piu’ della libertà di poterlo fare che del semplice piacere di farlo.
Per ricordarmi di santificare la festa.
Libertà….

Scrivevo qualche tempo fa:

MI piace pensare che la libertà non sia un diritto acquisito, ma un privilegio e per me una sensazione di leggerezza, quasi di piacere.
Libero di pensare, di scrivere, di uscire o di restare. 
Ma anche libero di mangiare, di scegliere, di vivere o morire.
Dedico questo pensiero a tutti gli arroganti che puntualizzano, agli isterici che si inalberano, ai benpensanti che giudicano. 

Loro non sanno, poverini, di avere il privilegio di poter essere arroganti, isterici e benpensanti. 
Loro non godono...



mercoledì 21 marzo 2018

Note di release 6.0 - intermezzo

“…Sì grazie, il solito”
Il solito tavolo sulla terrazza, il solito bicchiere di vino bianco.
L’aria fresca accarezza le foglie della siepe appena sbocciate e il mare lontano sembra quasi una cornice inevitabile.
Il cielo è privo di colori e il sole sembra essersi nascosto, senza impegno. 
Tutto è piu’ tranquillo, nei colori tenui di questa primavera che non vuole arrivare.

E’ proprio il grigiore della giornata che crea una atmosfera di inusuale intimità.
Intimità fra me e me che il riverbero della luce, se il sole volesse paventarsi, potrebbe solo attenuare, quasi disturbare.
Non cerco nulla che non sia la piu’ semplice sensazione del niente che cerca me.
Il piccolo tavolo di ferro appoggiato alla ringhiera sembra quasi stanco di sopportare la ruggine che da tempo, pur senza particolare insistenza, cerca di conquistarlo.
Mentre su di esso una rosa rossa solitaria nel suo lungo gambo dondola insicura fuori dallo stretto vaso che la sostiene.

Sembro sorridere, ma è solo l’impressione di una espressione priva di una vera emozione esteriore, mentre mille pensieri si rincorrono e poi si accavallano fino ad annullarsi, lasciando spazio al nulla. 
O semplicemente lasciando spazio.

Forse vorrei sentire un rumore, un sospiro o semplicemente un profumo per rompere l’equilibrio, per costringermi a voltarmi.
E quasi chiudo gli occhi per cercare di assaporare l’illusione di un evento inaspettato.
E’ quando il tempo resta sospeso che forse riesco a dare un senso al tempo stesso.

L’aria fresca sembra attenuarsi quasi per non disturbare e solo allora mi accorgo che il silenzio diventa musica, per chi lo sa ascoltare.