Via Gramsci era una grande strada per me “bimbo”, forse
anche piu’ bimbo dei miei coetanei.
Tanto che da un cancello all’altro della strada si poteva giocare a pallone “porta a porta” come si diceva in quel tempo.
Tanto che da un cancello all’altro della strada si poteva giocare a pallone “porta a porta” come si diceva in quel tempo.
Anche i marciapiedi di Via Gramsci erano grandi con le
mattonelle a quadratini e le fontane dell’antincendio.
Ero piccolo e tutto mi sembrava grande, via Gramsci era quasi un parco.
Era un mondo che partiva dai “giardinetti” al confine di Via Torino, praticamente le colonne d’ercole, al di la del quale in una buia bottega lavorava Caccialupi (che non era un soprannome) ovvero il mago che aggiustava le biciclette.
Era un mondo che partiva dai “giardinetti” al confine di Via Torino, praticamente le colonne d’ercole, al di la del quale in una buia bottega lavorava Caccialupi (che non era un soprannome) ovvero il mago che aggiustava le biciclette.
Bellissimo quel mondo, quando in primavera tutti i “ciliegi
di spagna” erano fioriti e facevano tetto bianco a tutta la strada.
La parte alta di via Gramsci era meno frequentata, forse per
per la troppa vicinanza con via Torino, o per la semplice distribuzione delle famiglie
con figli che popolavano la via Gramsci di “dopo la curva”, praticamente dalle
villette dei DeNina in giu.
Verso via Piave si spegneva, senza mai arrivare al sentiero che portava agli orti dietro la "Monce", territorio inospitale e poco frequentato.
Il tempo dei campi da tennis e del regno di Remo Castagneri era ancora lontano.
Poi c’era via Conte Verde, praticamente il “dietro” di Via
Gramsci. Terra straniera dalla quale arrivava qualche “immigrato” di tanto in
tanto per unirsi ai gruppi di Via Gramsci.
Eravamo bambini, coetanei. Con fratelli piu’ vecchi e piu’
giovani, dove la differenza di un paio d’anni creava comunque fossati enormi e
differenza di vita e di associazione che a tutti noi, in ogni caso, sembravano
assolutamente normali.
Inoltre chi fosse Antonio Gramsci l’ho scoperto solo dopo
tanti anni.
Il pallone, il tennis e le biciclette rappresentavano le
nostre fantasie. Tentativo di trasposizione di racconti che sentivamo alla
radio o che ascoltavamo nei commenti dei nostri genitori (altro circolo di via Gramsci di quel periodo)
Il pallone regnava sovrano con la strana anomalia delle
simpatie per Inter e Milan e non per Juve e Toro come scoprivamo sorpresi andando a
scuola.
Se io mi ero affezionato all’Inter perche’ perdeva quando
stava per vincere (una sindrome che poi mi ha accompagnato per tutta la vita),
non capivo per quale motivo un paio di miei amici fossero invece tifosi
del Milan.
Insomma io ero Sarti, Facchetti e Mazzola, loro erano
Cudicini, Trapattoni e Prati.
Sempre nel porta a porta.
C’era Andrea che veniva dalla via Gramsci alta, si diceva
che avesse una sorella piu’ piccola che non vedevamo mai, ma al tempo le bimbe
non ci interessavano molto.
E su questo fortunatamente abbiamo tutti cambiato idea
crescendo.
Lui era del Milan, chissà perche’. Era alto, figo e bravo a
fare tutto e vinceva sempre.
Poi c’era Dodo, un po’ figlio di papa’. Era la famiglia con
la villetta piu grande e piu’ moderna e per noi era quello “ricco”. Era grande
amico di Andrea, anche lui del Milan se non ricordo male.
Lo prendevamo un po’ in giro per i suoi modi di fare, ma poi
lui aveva il pallone piu’ bello e le miniature dei ciclisti con cui giocavamo
sui marciapiedi tirando i dadi. Quindi avevamo verso di lui una oscura ma
bonaria invidia che nessuna discuteva mai.
Ci era capitato, chissà come, un pallone leggero di plastica che
riportava foto e nomi dei giocatori della Juve. Noi, non molto juventini, lo
usavamo per tirare i calci ai giocatori. Il mio calcio preferito era per Del
Sol, solo perche’ era un nome strano, non avendolo mai visto. Mai avrei tirato
un calcio ad Anzolin visto che io volevo fare il portiere e tutti i portieri
erano eroi per me.
Dalla parta alta della via scendeva a giocare a pallone Ornella, una
tosta per i nostri parametri, nel senso che tirava forte e quando prendeva la tibia
non chiedeva scusa. Pare che anche lei avesse sorelle piu’ vecchie e piu’
giovani e che non vedevamo mai.
Che fosse una bimba era marginale visto il nostro scarso interesse
verso queste differenze in quel tempo.
Avevamo un portiere famoso in Via Gramsci, almeno per me.
Era
GigiCarlini, tutto attaccato.
Era il portiere del Condove, matto come tutti i portieri,
con i capelli lunghi. O almeno cosi’ me lo ricordo. Era un un po’ il mio GigiMeroni.
Non tanto piu’ vecchio di me ma abbastanza per farmelo sembrare adulto.
In quel periodo la cosa o meglio la casa piu’ bella era
quella dei Piazza.
La mamma di Cesare (le mamme e i papa’ non avevano un nome,
se non quello di “mamma di” e “papa di”) era la persona piu’ tenera, cortese,
sorridente e tollerante fra tutti gli abitanti della via, e forse fra tutte le
persone che ho poi conosciuto.
In casa di Cesare si poteva giocare, mettere a soqquadro,
fare rumore senza che la mamma ci riprendesse. Anzi spesso si finiva con una
spremuta o una bibita per tutti.
Aveva il cancello sempre aperto. Era una cosa strana, quando i cancelli erano spesso ben chiusi, tanto che quando il pallone finiva
in una corte per sbaglio erano momenti di grande crisi.
Persino il garage del “papa di Cesare” era uno spettacolo, con
quel suo hobby di costruire vascelli in legno e con tutti gli strumenti, era
per noi un parco giochi. Quanti semilavorati che abbiamo distrutto senza mai
venire rimproverati.
C’era il pianoforte in casa (la mamma di Cesare suonava ed
insegnava) e spesso una cugina di Cesare, Giovanna, veniva a trovarci da via Conte Verde e lei sapeva già suonare il piano, per noi qualcosa di miracoloso.
Poi c’era Ortensia, la sorella di Cesare, che rappresentava
nella sua freschezza un punto di riferimento per tutti i ragazzi del paese che
arrivavano in moto/bicicletta/monopattino e facevano finta di tirare un calcio
al nostro pallone di plastica per far bella figura con lei.
Insomma un bel traffico.
Verso la fine di via Gramsci c’era poi la casa di Alberto,
ovvero i Fontana. Anche quella casa molto aperta e disponibile, aveva il
giardino piu’ grande della via, avendo sacrificato l’orto.
Il babbo di Alberto, lui lo chiamava cosi’, “babbo”, e a noi
sembrava strano, era cacciatore e pescatore. Un bel signore elegante e con i
baffi.
Alberto aveva la piu’ ricca collezione di Lego di tutta la
via, oltre al giardino piu’ bello.
Ricordo che a lui non piaceva molto il calcio, ma con la
bicicletta e soprattutto con il tennis era maestro.
Fu il primo ad andare via da via Gramsci, quando
trasferirono il padre per lavoro. Ci facemmo una promessa, mi ricordo bene, che
ci saremmo rivisti a 18 anni. Quei patti che fanno i bambini con la stessa
serietà e formalità di un patto di pace galattica.
La sera Via Gramsci si riempiva di vita, soprattutto in
primavera. I “grandi”, quelli che avevano 4 o 5 anni piu’ di noi uscivano per
incontrarsi, per chiacchierare seduti sui muretti.
Erano gli adulti o meglio quelli piu’ vecchi, simbolo di
quello che avremmo raggiunto a breve.
Erano già ragazzi e ragazze che si sorridevano e non necessariamente
“giocavano".
Le donne erano tutte bellissime, anche solo in quanto donne.
Non ricordo i loro nomi, perche’ non avevo accesso a quei
gruppi.
Ricordo la “DeNina”, altera ed elegante, bionda e sinuosa. Futura
professoressa di francese che mi ha sempre messo un po’ di imbarazzo e mi
faceva abbassare lo sguardo quando mi interrogava.
C’era la figlia dei “Cavarero”, ma lei era già uscita da via
Gramsci in quel periodo.
E poi la sorella di Rapelli, capelli ricci e occhi rotondi.
(lui Gianni era piu’
vecchio di noi e non frequentava molto la via).
E poi c’era la sorella del mio idolo GigiCarlini, sbarazzina
e piena di vita.
C’erano le figlie di Viansone, ma erano forse di qualche
anno in piu’ e poi il loro papà era quello che non ci restituiva i palloni
quando andavano nel suo giardino. E quindi le consideravamo un po’ nemiche.
Verso via Gramsci bassa ricordo le sorelle di Alberto, anche
loro di qualche anno in piu’ e non molto coinvolte nella vita di via Gramsci.
E poi c’era Anna, figlia di Garnero, anche lei con mamma
pianista. Ho imparato a conoscerla anni dopo, lei e suo marito, quando sono tornato
a vivere in Via Gramsci.
Timida e tenera, sorridente e gentile.
Terra di conquista per i maschi di via Gramsci, gli adulti,
era invece via Conte Verde.
Sia perche’ vicina, ma anche per quello che offriva.
Margherita (Cassina) è stata il sogno di tanti, dall’altra
parte della rete.
Mentre la figlia di Ferraris si sposava con il figlio dei Garnero quando noi giocavamo a pallone.
Elisa De Amicis, nostra coetanea, avremmo voluto tutti
conoscerla meglio con il senno di poi, ma a quell’età, come dicevo, non avevamo
ancora certi interessi.
Dei fischi della Monce non ne parlo perche’ di nostalgia ce
n’è fin troppa, ma della famiglia Chiaberto/Ariotti si.
Renato e sua moglie erano forse un po’ piu’ giovani dei
nostri genitori, e i loro tre figli li abbiamo visti nascere.
Ma il loro sorriso, la loro gentilezza e disponibilità hanno
accompagnato un pezzo della mia vita, non solo il mio periodo “bambino”.
Ps: Sono tornato in Via Gramsci da adulto, sempre sotto lo
sguardo vigile della sacra che ha visto crescere mia figlia, ho conosciuto altri
vicini e cercato parcheggio, la dove giocavamo “porta a porta”.
Mai avrei pensato di usare toni e parole che erano quelle dei miei vecchi, ma il tempo passa.
E così, senza un motivo, stamattina mi sono svegliato con questi pensieri e con un piccolo sorriso.
Avendo voluto trascriverli velocemente prima che svanissero mi scuso per gli errori e le omissioni, con la speranza di non avere turbato nessuno.
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