domenica 8 maggio 2022

Per una vocale Martin perse la cappa

 

C'è chi riesce a capire la differenza tra “un assessore” e “un’assessore”, chi non si ferma alla vocale finale.
Curioso che alcuni termini si siano declinati al femminile, come Avvocato, Elefante, Professore, Dottore senza la ricerca della “A” finale. Lontani insegnamenti delle scuole elementari, quando la purezza della lingua era ancora importante, cosi’ come la “musicalità”.
Perche’ la lingua è anche musica, cosi’ almeno affermano molti di coloro che non conoscendola ci ascoltano parlare.
Musica, vuol dire melodia, fluidità, naturalezza.
Non che “assessora” o “sindaca” sia cacofonico, ma la sensazione è che la musicalità un po’ incespichi, soprattutto sul primo, o meglio sulla prima.
Fortunatamente molti termini sono ancora rimasti nella loro originalità, non ho ancora visto declinare “oste” in “ostA”, o “esercente” in “esercentA”.
Con tutto il rispetto del “gender” che non si riconosce in quelle “e” o quelle “o” finali che comunque da secoli e senza tanti problemi si sono ben comportate alla fine di determinati termini.
Altrimenti, allo stesso modo, simili considerazioni andrebbero fatte per nomi che non adeguatamente rispettano il “gender” da quelle tante simili indelicate situazioni dove è la “A” finale a fare la differenza.
E da domani dovremmo iniziare a proporre “osteopatO”, “fisioterapistO” o “pediatro” quando riferito ad un professionista maschile, o meglio… “prefessionistO”.
Cosi’ come “trotO”, se paragonato a quel pesce che nell’immaginario collettivo non brilla per vivacità intellettiva.
Anche “geometra” o “autista” dovrebbero essere rivisti, per non parlare del “patriarca” o del “gesuita”.
Persino “poeta”, volendo, dovremmo lavorarlo un po’, grazie alla sua storica “A” finale non dovremmo piu’ ricorrere all’elaborato “poetessa”, mentre per il senso primario ed originale potremmo proporre un inedito “poetO”.
Eppure siamo bravi quando usiamo lo stesso termine con senso appropriato rispetto al genere riuscendo a distinguere il senso semantico de “LA Fine” rispetto a “IL fine” o de "IL vocale", rispetto a "LA vocale".
La stessa lingua che distingue nel mondo dei “felini” IL “Leone” e IL “Ghepardo”, da LA “Tigre” e LA “Pantera”, e qualche motivo c’è.
Sofisticazioni rispetto a certe altre lingue che tali problemi proprio non se li possono porre…
THE END

domenica 24 aprile 2022

25 Aprile


Io ho paura, paura di non avere paura. 
Eppure vedo scene di distruzione, di desolazione, di strazio infinito.
Città rase al suolo, edifici bruciati e distrutti.
Non ci voglio credere, mi dico che non è possibile. Non ha senso.
Non posso credere che sia tutto cosi’ terribile, che ci sia ancora una umanità capace solo di distruzione, di dolore, di cattiveria, di soprusi.
Non arrivo o meglio non voglio distruggermi l’anima nel sentire il dolore di chi ha perso tutto.
Non ce la faccio, non reggo, mi devo fermare prima, alla distruzione. Non voglio avere paura.
Il dolore della disperazione lo percepisco, lo sento, ma non lo voglio vedere, non lo reggerei.
Non è una nuova guerra e non è diversa da tante altre in altri luoghi con o senza gli stessi attori.
Ma per l’impetuosità degli eventi, il precipitarsi della situazione, la sensazione di distruzione totale, quotidiana, mi sembra piu’ violenta che mai.
La mancanza di qualsiasi iniziativa diplomatica, l’assenza di una volonta’ comune o trasversale di ricerca di una soluzione di pace, mi sconvolge.
Quasi irreale la mia vita comoda, la mia casa pulita, l’acqua corrente.
Quando un vaso rotto, un bicchiere in frantumi sembra già una tragedia.
Eppure sono qui a ripensare al mio pacifismo, al “fate l’amore non fate la guerra” come uno slogan ormai obsoleto. E la libertà come un diritto acquisito per sempre, impensabile imbracciare un fucile per difenderlo.
Non capisco nulla di guerre, ma so che in ogni guerra c’è sempre l’oppresso e l’oppressore, e non importa se qualche oppresso è stato oppressore in passato.
E in guerra non sempre vale la dottrina del male minore, perche’ un male anche se minore è sempre un male.
Non è una divisione di popoli, ma lotte di potere, perche’ poi viviamo tutti sotto le stesse stelle. Amiamo allo stesso modo figli e compagne. Vogliamo vivere in pace, respirando la stessa aria.
Volgiamo il rispetto del diritto all’autodeterminazione.
E io, nonostante tutto, ho paura di non avere paura, di guardare tutto con distacco, per non avere paura davvero.
Maledetto me. Impara la paura, la commiserazione, la comprensione, condividi quegli sguardi di terrore, rispetta la dignità di chi ha perso tutto..
Guarda dritto negli occhi quelle facce annerite dal fumo delle esplosioni.
Perche’ si, si puo’ combattere e morire per la libertà.
Come hanno combattuto i nostri padri, i nostri nonni.
"𝘌𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘶𝘰𝘮𝘪𝘯𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘶𝘯𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘩𝘢𝘯𝘯𝘰 𝘷𝘪𝘴𝘴𝘶𝘵𝘰 𝘢𝘭 𝘥𝘪 𝘭𝘢̀ 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘷𝘪𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘶𝘯𝘦, 𝘢𝘯𝘪𝘮𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢 𝘶𝘯 𝘥𝘦𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘪𝘰 𝘪𝘯𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘱𝘢𝘤𝘦.
𝘕𝘰𝘯 𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘣𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘣𝘢𝘵𝘵𝘦𝘳𝘰𝘯𝘰. 𝘗𝘦𝘳𝘤𝘩𝘦́ 𝘪𝘭 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘰 𝘥𝘪𝘳𝘪𝘵𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘶𝘰𝘮𝘰 𝘦̀ 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘥𝘪 𝘭𝘰𝘵𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘭’𝘪𝘯𝘶𝘮𝘢𝘯𝘪𝘵𝘢̀ 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘳𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘯𝘤𝘢𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘪 𝘧𝘶𝘵𝘶𝘳𝘰.
𝘍𝘢𝘵𝘦 𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘶𝘰𝘮𝘪𝘯𝘪 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘴𝘰𝘳𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘴𝘰𝘱𝘳𝘶𝘴𝘰, 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘦𝘨𝘶𝘪𝘵𝘢𝘵𝘦𝘭𝘪, 𝘢𝘧𝘧𝘭𝘪𝘨𝘨𝘦𝘵𝘦𝘭𝘪: 𝘴𝘰𝘱𝘱𝘰𝘳𝘵𝘦𝘳𝘢𝘯𝘯𝘰, 𝘳𝘪𝘴𝘰𝘳𝘨𝘦𝘳𝘢𝘯𝘯𝘰. 𝘓𝘢 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢 𝘶𝘮𝘢𝘯𝘢 𝘩𝘢 𝘪𝘯 𝘴𝘦́ 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘰𝘳𝘥𝘪𝘯𝘢𝘳𝘪𝘦 𝘦𝘯𝘦𝘳𝘨𝘪𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘧𝘰𝘳𝘴𝘦 𝘭’𝘦𝘴𝘱𝘳𝘦𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘴𝘶𝘢 𝘴𝘢𝘤𝘳𝘢𝘭𝘪𝘵𝘢̀.
𝘔𝘢 𝘵𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦𝘵𝘦 𝘢 𝘶𝘯 𝘶𝘰𝘮𝘰 𝘭𝘢 𝘴𝘱𝘦𝘳𝘢𝘯𝘻𝘢 𝘦 𝘭𝘰 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘵𝘦 𝘴𝘷𝘶𝘰𝘵𝘢𝘵𝘰, 𝘢𝘯𝘯𝘪𝘤𝘩𝘪𝘭𝘪𝘵𝘰, 𝘷𝘪𝘯𝘵𝘰.
𝘝𝘪𝘷𝘢 𝘭𝘢 𝘭𝘰𝘵𝘵𝘢 𝘥𝘪 𝘓𝘪𝘣𝘦𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦."(𝘤𝘪𝘵. 𝘎. 𝘛𝘢𝘮𝘱𝘪𝘦𝘳𝘪)
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MI piace pensare che la libertà non sia un diritto acquisito, ma un privilegio, e per me una sensazione di leggerezza, quasi di piacere.
Libero di pensare, di scrivere, di uscire o di restare.
Ma anche libero di mangiare, di scegliere, di vivere o morire.
Dedico questo pensiero a tutti gli arroganti che puntualizzano, agli isterici che si inalberano, ai benpensanti che giudicano. Loro non sanno, poverini, di avere il privilegio di poter essere arroganti, isterici e benpensanti. Loro non godono...

domenica 27 febbraio 2022

Pensieri e parole

Scrivono tutti, parlano tutti, tutti con le idee chiare, opinioni precise. 

La verità in tasca.

Io, invece solo ansia e angoscia. E tante domande.

Noi che abbiamo la tecnologia piu’ avanzata, che abbiamo imparato a sconfiggere tante malattie.

Noi che abbiamo creato benessere, che controlliamo l’energia, che andiamo sulla luna e forse su marte

Capaci di spiegare l’infinitamente piccolo e guardare fuori, la dove non ci sono confini nell’infinitamente grande.

Noi capaci di illuminare le notti, volare come gli uccelli, catturare l’energia del sole.

Gli stessi noi capaci di scavare nell’animo umano, nelle dinamiche delle relazioni, nelle piu’ recondite asperità dell’evoluzione. Capaci persino di descrivere la complessità del Chaos.

Perche’ noi, quegli stessi “noi”, non siamo in grado di prevedere, anticipare, gestire tutte le anomalia che si formano?

Perche’ non possiamo prevedere il male?

Perche’ non riusciamo a gestire la crisi climatica, prima che il mondo muoia di disperazione propria?

Quale incredibile lacuna dell’umanità permette ogni tanto di lasciare un potere immenso ad un folle senza riuscire a contenerlo in tempo, prima che sia impossibile intervenire.

Con quale dinamica, un solo essere umano, un folle, può mettere in scacco il mondo, gestire la valigetta con il bottone nero.

E non un folle sconosciuto, venuto da nulla, uscito da astronave extraterrestre, o da una caverna. Ma un folle conosciuto, temuto, studiato, ahime’… tollerato.

Perche’ il mondo interno con tutta la tecnologia, la conoscenza, tutta la diplomazia, le risorse e la ricchezza che possiede si trova improvvisamente inerme di fronte a quel folle, senza saper come reagire, come intervenire.

Forse perche’ ci siamo abituati a vivere una quotidianità dove il problema è sempre lontano da noi, le responsabilità in qualche altra dimensione.

Il nostro giardino è verde, l’acqua sgorga dalla fonte, il mare limpido, il cielo blu, la dispensa ricca. 

Perche’ pensare? Perche’ angosciarci? Meglio ignorare, meglio abituarci a rimandare li pensieri a domani. Le decisioni, gli interventi, i sacrifici, le discussioni possono aspettare,

“Andrà tutto bene”.

Un perenne “andrà tutto bene”, pensando che qualcuno, forse il fato sistemerà tutto.

Chissà, con l’umanità in bilico, in attesa di una botta di culo.

E poi ci svegliamo una mattina con il fiume in secca, con una inondazione alle porte, un missile sulla testa, un folle con il dito sul bottone nero.

E la gente muore, come 100 anni fa, come 1000 anni.

Per la pelle di un bisonte, per un metro cubo di gas, per l’ego e l’aggressività insita nell’animale che è in noi.

Per una religione, per un confine, per un folle.

E, niente, io scrivo e penso e scrivo... ma resto con le mie domande, e l’angoscia non passa…

lunedì 17 gennaio 2022

Il muro...


A volte bastano pochi metri per essere da una parte o dall’altra di un muro.
Talmente vicino che lo puoi toccare quel muro con la sensazione che la consistenza sia estremamente diversa dalle due parti.
Da questa parte, dal mio punto di osservazione, il muro è solo un muro, imponente e cupo, ma con nessun desiderio di volerlo scavalcare.
A volte basta una disattenzione, una brutta strada, un errore, una compagnia sbagliata per trovarsi quasi inconsapevolmente dalla parte meno piacevole di quel muro.
Altre volte è un rischio consapevole che qualcuno vuole correre, altre volte, peggio, diventa una sfida.
Ho un amico carissimo che dietro quel muro ha passato un periodo della sua gioventu’, molti anni fa. Una persona buona e generosa, a cui voglio molto bene.
Ora guarda il muro dalla mia stessa parte, forse con piu’ dignità e consapevolezza di come lo guardo io.
Perche’, dopo aver pagato il proprio debito, ognuno ha il diritto di vivere la propria vita.
E riprendersi i propri diritti.
Poi ognuno di noi guardando il muro, a prescindere dalla parte da cui lo guarda, puo’ fare i conti con la propria coscienza, puo’ valutare se la propria vita l’ha vissuta al di sopra di ogni debolezza. Ognuno di noi può percepire nelle relazioni e nella società riconoscimenti di stima, onesta’ anche solo intellettuale, sensibilità, rispetto, coerenza.
Un confronto non tanto con i propri diritti, ma con la propria coscienza personale e sociale.
Non conta quale parte del muro ognuno di noi possa avere avuto l’esperienza di vedere, forse conta di più come gli altri vedono noi, ogni giorno per quello che siamo.