Oggi è un giorno come tutti gli altri giorni di questi ultimi anni: un giorno di guerra, di sofferenza, di distruzione, di morte.
Anche oggi con l’impressione di vivere in una storia di fantascienza nera, apocalittica, carica di distruzione, che si guarda con timore ma anche con il distacco della convinzione che quel futuro cosi’ tragico e funesto è solo una tragica inverosimile commedia e non sarà mai cosi.
Terribilmente reale, terribilmente presente.
Cosa è successo all’umanità dopo tanti anni di relativa tranquillità, di grandi crisi risolte con la diplomazia, con la politica, con la cooperazione internazionali.
Dove sono finiti quei valori cosi’ cari e cosi’ indiscutibilmente consolidati quali la tolleranza, il rispetto, la ricerca dell’accordo,
Persino la macroeconomia, la globalizzazione, il progresso, per quanto vituperati, rappresentavano se non una garanzia una solida infrastruttura verso un mondo orientato al futuro.
Il progresso come valore, per il bene comune. La crescita come motore di fratellanza tra i popoli.
Per noi che abbiamo vissuto e mai veramente capito la guerra del Vietnam, era quasi scontato che un altro Vietnam non ci sarebbe piu’ stato.
Abbiamo forse per troppi anni ingenuamente osservato con distacco focolai bellicosi, o anche vere e proprie guerre locali che comunque avevano sempre un tavolo di negoziato, ipotesi di soluzioni, forze neutre di intervento.
O almeno cosi’ credevamo che fossero e cosi’, spesso, sono stati.
I nostri valori e il nostro stupido entusiasmo ci hanno forse annebbiato la vista, impedendoci di vedere il degrado culturale e sociale, le nuove dinamiche economiche, gli equilibri instabili, le rabbie represse.
E' cosi' che per noi è stato un virus violento, un passaggio di una cometa, un battito delle ali di una farfalla in Peru’, che ha stravolto il mondo.
E il risiko feroce, lo spirito animalesco ancestrale e animale ha preso il sopravvento.
Le tribu non si parlano, si uccidono. Ad ogni azione, ad ogni attacco deve corrispondere una risposta armata. Ogni guerra può’ finire solo con il totale annientamento dell’avversario.
Tribù in guerra. Il medioevo che ritorna, la guerra dei cent’anni, la guerre delle due rose, la guerra dei trent’anni, la conquista mongola.
E noi poveri reduci delle cronache lontane dei negoziati di Parigi per porre fine alla guerra del Vietnam, siamo persi, increduli, rassegnati.
Incapaci di capire quali dinamiche impediscano alla diplomazia di tornare a gestire i conflitti in giro per il pianeta.
Incapaci di entrare nella dinamica della violenza come unica reazione alla violenza stessa, in un ciclo perverso di distruzione e di morte.
Senza piu’ nessun rispetto per le vecchie e polverose e ormai declassate convenzioni internazionali, senza piu’ un organismo super partes a cui fare riferimento, solo violenza senza ritegno.
Oggi è un giorno come tutti gli altri che non vede nessun progresso verso soluzioni pacifiche, nessun tentativo di aprire un dialogo, nessuna speranza di vedere ringhiosi generali e leaders di popoli agguerriti costretti a sedersi attorno ad un tavolo rigorosamente rotondo per trovare una soluzione in grado di giustificare distruzione e morte ancora prima di trovare un accordo.
Oggi è un giorno come tutti gli altri dove noi reduci del Vietnam, con nel cuore la voce di Joan Baez, con i fiori nei cannoni, cresciuti con la certezza e non solo la speranza che il mondo di domani non potesse che essere un mondo migliore, ecco noi siamo persi, disperati, fondamentalmente increduli e spaventati.
Perche’ oggi è sempre tristemente oggi e non riesce ad essere figlio di un domani migliore.
Ps.: non sono riuscito a scrivere la parola “pace” nel testo, ma con un residuo di speranza la scrivo qui, e sintonizzo la radio sulle onde medie che domattina potrebbe dirmi “…che la guerra è finita”.
Domani.