mercoledì 21 maggio 2025

Snoopy e l’Intelligenza Artificiale


Si racconta che nel 1956 un giovane e brillante matematico di nome John McCarthy decise che era tempo di dare un nome nuovo a un campo nascente.

Fino ad allora, gran parte delle ricerche sulle “macchine intelligenti” gravitava attorno alla cibernetica, termine coniato da Norbert Wiener: un mix di informatica, controllo automatico, neurologia e teoria dei sistemi. Ma… la cibernetica iniziava a sembrare un contenitore troppo ampio, a tratti vago, con derive filosofiche e tecniche che non combaciavano del tutto con la visione di McCarthy.

Così, per organizzare un workshop al Dartmouth College – e attirare soprattutto finanziamenti – McCarthy sentì il bisogno di ripulire il campo, rinnovare il marchio e dargli un’identità più scintillante: lo chiamò “Artificial Intelligence”, Intelligenza Artificiale. Un nome che sapeva di fantascienza, ma anche di precisione, ambizione, audacia.

Un piccolo cambio lessicale? Forse. Ma anche un colpo da maestro di branding. Il termine “I.A.” era nuovo, provocatorio, affascinante.

Oggi, attorno a quel termine, non raccontiamo più solo l’evoluzione di una tecnologia. No, stiamo scrivendo un’intera narrazione culturale, sospesa tra entusiasmo visionario e hype mediatico. Il brand “I.A.” evoca futuro, meraviglia, trasformazione – e, spesso, anche un certo brivido.

Non parliamo solo di LLM, agenti autonomi, sistemi generativi o reti neurali sofisticatissime. Il discorso pubblico è esploso in qualcosa di molto più grande, quasi mitologico.

“I.A.” è diventata una parola magica, un magnete per like, fondi, prime pagine. Basta nominarla per innescare reazioni a catena. Ma questa sovraesposizione, se da un lato accende la curiosità e accelera l’adozione, dall’altro rischia di produrre confusione, aspettative gonfiate e inevitabili disillusioni.

Certo l'evoluzione tecnologica degli ultimi anni, anzi degli ultimi mesi, ha portato un salto "quantico" nei servizi disponibili, che neppure nelle piu' rosee visioni di Julius Verne o dei "Pronipoti" di Hanna&Barbera si potevano fantasticamente immaginare. Rivoluzioni epocali in ogni settore ed in ogni stato sociale, già sono palpabili, inarrestabili.

Anche se, in nome dell’I.A., si tende a lasciarsi coinvolgere dall'entusiasmo e trovarsi a promuovere soluzioni ancora in fasce come se fossero rivoluzioni mature, sicure, rispettosi delle normative, eticamente inappuntabili. Spesso attribuendo alle macchine capacità che esistono più nella nostra immaginazione o nella nostra percezione, che nello stato dell’arte.

In fondo, “Intelligenza Artificiale” è ancora oggi ciò che McCarthy aveva intuito nel 1956: un’idea potente, un nome brillante, un sogno visionario. Ma proprio per questo va maneggiata con cura: dietro la superficie scintillante, si nasconde un mondo complesso, tecnico, in continua e imprevedibile trasformazione.

Un mondo tutto da scoprire, fatto di evoluzioni inaspettate.

Tra dinamiche di mercato, interessi incrociati e soluzioni spinte al massimo, ma non sempre gestite con la dovuta consapevolezza, nascono dibattiti che spesso somigliano più a un flipper che a un confronto oggettivo.

“Datemi l’I.A. e solleverò il mondo”, avrebbe detto Archimede, in preda a ottimismo cosmico.

Finché si parla di “intelligenza”, anche se artificiale, lo spazio per discutere e interpretare resta ampio. Ma quando si entra nel territorio della genialità, qualche dubbio può legittimamente sorgere.

Genialità è il “tutto dal nulla”, è Schulz che con pochi tratti di penna ha creato personaggi carichi di umanità, in cui ognuno può riconoscersi: Charlie Brown con la sua eterna insicurezza, Lucy con la sua prepotente sicurezza, Linus con la sua copertina e la sua saggezza teneramente traballante…

E poi c’è Snoopy.

Snoopy è il jolly del mondo Peanuts: interagisce con tutti in modi diversi, si reinventa in continuazione. È aviatore, scrittore, giocatore di hockey, avvocato, Joe Cool… Le sue fantasie sono evasioni dalla realtà. Così come, forse, lo erano i Peanuts per Schulz.

Ecco, forse è questo il punto: la genialità è l’imprevedibile, la creatività, l’immaginazione, la distruzione degli schemi, è ciò che accade quando il genio si manifesta – come avrebbe detto il Conte Mascetti di Monicelli.

E quel tipo di genio, per ora, non trova ancora casa nei modelli di I.A. che, pur sorprendendoci ogni giorno di più, restano strumenti di risposta. Straordinari, certo. Ma reattivi, non creativi. Ci rendono piu’ veloci, piu’ efficienti…  non piu’ saggi, piu’ geniali o piu’ innovatori, ma possono dare a tutti la possibilità di poterlo essere.

Non inventano Snoopy.... non disegnano Guernica.

Non sognano il futuro, lo deducono sul passato: prolungano il presente, come se trascinassero all’infinito complicatissime celle di Excel.

Anzi, non sanno neppure quello che fanno e soprattutto.. come lo fanno.

E’ di pochi mesi fa la pubblicazione di due affascinanti documenti da parte di Anthropic, che provano a “guardare dentro” il funzionamento del ragionamento nei modelli I.A. anzi del proprio modello di A.I.

Gli studi analizzano come questi sistemi affrontano problemi piuttosto classici: trovare la capitale di uno Stato dato un riferimento, sommare due numeri, diagnosticare una malattia, scrivere una poesia in rima…

La parte più interessante? I ricercatori hanno dovuto prima inventare un modo per rappresentare il ragionamento e poi usarlo come un microscopio per seguire passo passo i percorsi della macchina.

E, sorpresa – o forse solo ironia della sorte – nessuno sembra essersi posto la domanda: “Ma perché Anthropic sta cercando di capire come funziona qualcosa che ha costruito lui stesso?”

Prendiamo un esempio: la somma 36 + 59. Il povero Claude 3.5 Haiku si lancia in un’odissea euristica fatta di approssimazioni successive.

Prima cerca la somma delle unità per stabilire che il risultato finirà in 5. Poi passa alle decine, cercando quella che “sembra” più plausibile (modulo 10), e infine converge sul risultato attraverso passaggi “inconsci” (modulo 100).

Anzi cerca tutti i riferimenti dove il 6 e il 9 possono trovarsi legati da un principio chiamato somma per dedurne l’eventuale conseguenza. Bilanci di società, calcoli astronomici, riferimenti scientifici, solo per sapere che 6 e 9 “fanno” “5”.

Osservato da fuori, è tutto molto affascinante., sorprendente, a tratti illuminanti per capire come funzionano veramente, inconsapevolmente. Quanta elaborazione, quanta energia, quanto “calore prodotto”.

Ma se gli si chiede direttamente com’è arrivato al risultato, Claude risponde… come un bravo scolaretto. Con la classica somma in colonna e relativi riporti, come se l’avesse letta su un vecchio libro di aritmetica. Proprio perche’ trovata in un archivio, in un manuale, non certo per “consapevolezza” o banalmente per avere tenuto traccia della sua “folle” elaborazione.

Morale: il modello esegue l’addizione, ma non ha alcuna consapevolezza metacognitiva del come ci sia arrivato.

“Perdona loro, perché non sanno quello che fanno”, avrebbe detto qualcuno in tempi non sospetti.

Ma lo fanno velocemente, molto velocemente, con grande ricchezza di dettaglio e di qualità estetica che spesso ci inducono a non mettere in dubbio l’elaborato, pur sapendo che quanto prodotto è solo la soluzione piu’ probabile al momento, non necessariamente quella corretta.

E tutto questo alimenta la leggenda dei sistemi che peraltro crescono come funghi, e si evolvono alla velocità della luce. E con la loro empatia, e la loro assertività ci fanno “stare bene”. Ci abituano alla disponibilità di un team di collaboratori efficienti, talentuosi, instancabili, come mai abbiamo avuto nelle nostre vite.

Un tornado nel vecchio mondo formale e ingabbiato dalle regole e dalla governance dei vecchi sistemi informativi

  • Ma noi siamo pronti a salire sul ponte di comando, per condurre e non essere condotti, per essere migliori e non aspettare qualcuno o qualcosa di migliore di noi?
  • Siamo pronti a gestire consapevolmente il potere immenso che improvvisamente, quotidianamente abbiamo tra le mani?
  • Siamo sicuri di poter garantire lo stesso potere, le stesse risorse, la stessa qualità, a tutti i ceti sociali, a tutte le realtà culturali, insomma… a tutti?

Se cosi’ fosse, allora potremo tutti dedicarci ad essere migliori, per diventare chissà…